01 aprile 2007

A MARGINE DELLA DICHIARAZIONE DEL GIUDICE CLEMENTINA FORLEO.

Confesso d’aver dovuto vincere una certa ritrosia ad intervenire nel dibattito seguito alla ormai famosa dichiarazione della dottoressa Forleo sul buio a Francavilla. Per due ordini di ragioni. In primo luogo perché poco o nulla ho da aggiungere a quanto detto su queste colonne dal professor Trisolino, dall’ex sindaco Filomeno e dal sindacalista Ciracì. In secondo luogo perché ben altri interventi erano, e tuttora sono, attesi. Quelli dei tanti docenti e presidi delle scuole locali, dei dirigenti dei vari settori pubblici e privati, dei giornalisti, dei parroci, degli esponenti del mondo delle professioni, del volontariato, della cultura e dell’arte. Dove sono tutti costoro? Possibile che siano indifferenti alla realtà e al destino della loro città? Non sono d’accordo con la tesi del giudice? Benissimo. Però lo argomentino. Per noi una città è al buio quando pratica massicciamente qualcosa che assomiglia molto al voto di scambio; quando l’elettore dà il proprio voto in cambio non della vaga promessa di un posto di lavoro –che, al limite, si potrebbe pure comprendere, anche se non giustificare –ma della rimozione di un cassonetto della spazzatura (mi è capitato di sentirlo, rabbrividendo, nell’ultima campagna elettorale); quando dà il voto al galoppino, eletto consigliere e poi promosso assessore per abilità di rastrellamento del consenso, che gli “recapita” a domicilio il certificato che gli serve; quando la selezione della classe dirigente avviene non per meriti o capacità ma per grado d’asservimento e fedeltà (chi conosce, per esempio, le “competenze” dei due futuri assessori che tra poco andranno ad impinguare la giunta?). Una città è al buio non solo quando gli amministratori pubblici si spartiscono spudoratamente i posti di un concorso pubblico (conoscendoli, cosa c’era da aspettarsi?), ma soprattutto quando ciò avviene senza un sacro moto di reazione della popolazione, la quale, dopo un primo timido accenno di indignazione, torna tranquillamente a “votare” gli autori della “sceneggiata”.Una città è al buio quando la politica “sociale” e “culturale” di chi l’amministra si immiserisce nell’elargizione di mance alle cooperative ed alle compagnie di “comparanza” o, al più, a organizzazione di spettacoli con Mudù e Nino Frassica. Una città è al buio quando ben 49 opere pubbliche progettate o avviate vengono lasciate ammuffire –come nel caso del centro di carico intermodale – tra l’indifferenza generale. Una città è al buio quando in presenza di un forte “disagio” giovanile, esistente anche qui, sebbene in forme probabilmente meno clamorose, o si preferisce guardare altrove o, quando se ne tenta un approccio, questo è del tutto improvvisato e pasticciato. Una città è al buio quando le si “impone” una megadiscarica consortile contro la volontà dei suoi residenti, manifestata con la raccolta di 5000 firme, e contro ogni indicazione idrogeologica, igienico-sanitaria, di viabilità e di compatibilità ambientale. Una città è al buio quando centinaia, forse migliaia, di giovani sono tenuti sulla corda, in attesa del “posto”, dal potente di turno, il quale si guarda bene dallo sviluppare le potenzialità occupazionali del territorio (per esempio, completando ed attrezzando la zona industriale che potrebbe assorbire numerosa manodopera), forse proprio per perpetuare la propria satrapia. Una città è al buio…Si potrebbe continuare. Dove l’onorevole ed il senatore vedano una città “all’avanguardia” o una città “normale”, rimane un mistero. Città medievale, piuttosto. Fissa ed immobile nel tempo. Tal quale la descrissero, cent’anni fa, un suo grande figlio, oggi – altra prova del buio – pressoché dimenticato, Cesare Teofilato, e insieme a lui altri suoi amici, su alcuni giornali locali (“L’Ape Francavillese” ed “Il Tribuno Salentino”): “… la nostra esistenza si svolgeva in una desolante assenza dalla vita pubblica, tra la incosciente complicità di un nucleo di acefali e la criminosa azione d’una manica di mariuoli; da una parte lo governo e l’interesse, dall’altra la volgarità e la bassezza, anestetici dello spirito. Le classi lavoratrici vivono abbrutite nelle osterie (oggi TV, gossip, calcio ed altri strumenti di distrazione di massa), lontane dalla scuola e dai giornali; gli studenti non partecipano alla vita degli studi se non per ottenere un Diploma che assicuri loro una modesta esistenza non riscaldata dalla fiamma di un’idea; i giovani professori, passati come ramarri attraverso il fuoco delle Università, attendono dal matrimonio quel benessere economico che dovrebbero chiedere alle forze dell’intelletto e alla volontà del lavoro…Qui da noi, quando qualcuno ha risoluto il suo miserabile problema individuale, di tutto il resto se ne infischia…In Francavilla, ove la politica si intende generalmente come tornaconto personale, non vi sono individui che si appassionino alle lotte di pensiero ed alle alte idealità, né tanto meno passioni per grandi dibattiti”
Cosimo d’Alema

ex docente del Liceo Scientifico di Francavilla Fontana

3 commenti:

Anonimo ha detto...

CREDO CHE ATTUALMENTE SIA PIU' OPPORTUNO PARLARE NON DELLE SCEMAGINI DI UNA MILANESE, MA DELLA DELIBERA ADOTTATA DALLA GIUNTA, MARTINA IN TESTA E FIGURARSI CIRCA L'IMPIANTO DI SELEZIONE E BIOSTABILIZZAZIONE IN CITTA'DOPO CHE IL CONSIGLIO SI ERA ESPRESSO PER IL NO CATEGORICO (BALESTRA IN PRIMIS).

Giuseppe Bruno ha detto...

Concordo con il brillante intervento del professor D'Alema.
Scusate se uso questo spazio anche per informare gli amici dei Democratici per la Costituzione e gli utenti di questo sito dell'iniziativa di un paio di ragazzi francavillesi,studenti fuorisede,di dar vita ad blog politico-culturale nato innanzitutto dall'amore che proviamo per la nostra città e con l'obbiettivo di smuovere le coscienze di una città che pare essere caduta in una sorta di stato comatoso da ormai troppo tempo.
L'indirizzo è www.lachiazzafrancavillese.blogspot.com
Un saluto,"i ragazzi della Chiazza"

Anonimo ha detto...

Il suo discorso, caro prof. d'Alema potrebbe pur avere un senso se solo non venisse dal suo pulpito. Quello di chi ammiccò in passato al socialismo craxista, il quale (rispetto al'inverecondo malcostume morale, pure esistente, col quale ciascuno di noi è costretto, suo malgrado, a convivere), fu di gran lunga più ipocrita, pericoloso e catastrofico.

Gli ammiccamenti di oggi (anzi i suoi erotici palpeggiamenenti) alla sinistra di oggi, presentata come alternativa di palingenesi totalizzante, appaiono per chi ha un minimo d'acume e di buon senso abbastanza grotteschi.

Perché la sinistra è la faccia della stessa medaglia di un sistema incarnato nella democrazia dei partiti, che è la vera causa delle sventure italiane.

Sistema dei partiti a cui non si sottraggono - ahinoi - nemmeno quelle lobby magistratuali che in passato imposero l'imperativo categorico dell' "uso alternativo del diritto" (ci si dimentica presto, eh, professore ?), e che evidentemente organici ancora al sistema e prima ancora alle "parti attrici" del sistema, continuano a perseguire quell'imperativo senza tuttavia, per pudore o forse più credibilmente per calcolo (eh, si i tempi sono mutati dal Sessantotto) palesarlo.

Il giudice faccia il giudice. Se vuol fare il politico, abbia il coraggio di appendere al chiodo la toga.