Di solito i dati epidemiologici e ambientali indirizzano le future scelte industriali. Di solito in un Paese normale una volta definita l’area “ad elevato rischio ambientale”, si cerca di risolvere i problemi investendo in impianti compatibili con la difesa ambientale e convertendo le centrali a carbone a combustibili meno inquinanti. Tuttavia questo a Brindisi non avviene, infatti il Ministero delle Infrastrutture e Regione Puglia hanno deciso che il porto per i prossimi anni sarà destinato al ruolo di banchine a disposizione del carbone e dei prodotti industriali. Carbone che destava dubbi già nel 1273, tanto che il re Edoardo I d’Inghilterra minacciò di impiccare chiunque lo bruciasse a Londra perché produceva fumo acre. Invece qui a Brindisi rappresenta passato, presente e futuro. Eppure i dati delle caratterizzazioni parlano chiaro, le concentrazioni di arsenico e mercurio trovati nel terreno sono da attribuire solo alla presenza di due centrali a carbone 3920 Mw di potenza. L’arsenico soprattutto desta preoccupazione perché è un cancerogeno di classe 1 e studi epidemiologici confermano che l’esposizione a tale inquinante porta ad un elevato rischio di cancro a polmone e al fegato. Sappiamo anche da uno studio di Martuzzi che la mortalità per il tumore al polmone a Brindisi è del 30% più elevata rispetto alla media regionale, dati poi confermati dal Registro di Tumori Jonico-Salentino il quale segnala un eccesso elevato rispetto al registro Tumori di Ragusa ( + 34 ). Il Mercurio invece è un inquinante tossico e gli effetti più gravi si verificano a carico del sistema centrale. Altra caratteristica è la grande capacità che possiede di accumularsi nell’organismo, con il pericolo per tutti di essere esposti attraverso la catena alimentare. Oltre a queste due sostanze, bruciando carbone si immettono nell’atmosfera anche sostanze radioattive e altri metalli tossici. Il pericolo non è legato soltanto all’ inalazione di queste sostanze, ma anche e soprattutto all’assorbimento da parte di piante e terreno; a questo riguardo sappiamo benissimo, vista la scarsità di industrie, quanto sia fondamentale preservare l’agricoltura. Da non trascurare, inoltre, l’elevato contenuto di diossido di zolfo immesso nell’ambiente. Pensate che dai dati del consuntivo 2005 le emissioni massiche di So2 sono 10.599 tonnellate. I livelli di polveri sottili rilevati a Torchialoro confermano lo stato di crisi ambientale provocato dalla Centrale di Cerano. Prima che sia troppo tardi, dobbiamo protestare e far cambiare decisione al governo, altrimenti per il porto di Brindisi significherà nessun ruolo internazionale, nonostante l’ottima posizione geografica e nessuna collocazione significativa nel ruolo dei porti italiani. Sarà anche l’addio ad un nuovo modello di sviluppo, che parte dalla valorizzazione delle risorse locali, infrastrutturali e da investimenti autopropulsivi che promuovano una cultura di impresa a livello locale e che tenga conto delle aspettative della popolazione in un’ottica di sviluppo compatibile e che lascino un ecosistema integro in eredità alle generazioni future.
09 marzo 2007
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