A suo tempo –fine anni Novanta – costò quel che costò, 80 milioni di lire, ma disegnò una città “diversa”, decisamente migliorata, nella quale tutto, dalla regolamentazione e riduzione del traffico urbano, con molti ed ampi parcheggi, corone rotatorie e piste ciclabili, al verde pubblico e al vario arredo urbano, dall’abbattimento dell’inquinamento ambientale, acustico e dello stress per gli automobilisti ed i pedoni, eccetera, avrebbe reso addirittura invidiabile la qualità della vita a Francavilla Fontana. Avrebbe, appunto. Se fosse stato realizzato anche solo qualche “spicchio” del Piano Generale del Traffico, redatto da un’équipe di tecnici e fatto proprio dall’Amministrazione comunale nel gennaio 2003. Piano che, invece, è rimasto un bel libro dei sogni.
Da esso la cittadinanza si è risvegliata addirittura con l’incubo di una “Cascinazza” (della quale si dirà più avanti) anche nel nostro territorio. Sembra infatti che sia già pronto il progetto, e forse incombente la realizzazione, di una colossale colata di cemento a devastare una delle aree originariamente riservate a verde pubblico e parcheggio. Si parla del terreno a ridosso del ponte ferroviario in via D’Angiò. Niente e nessuno sembra, purtroppo, in grado di scongiurare l’insano progetto e di bloccare la famelicità del partito del mattone, che, in spregio ad ogni elementare norma di vivibilità del territorio, persegue come uno schiacciasassi l’unico credo che si è dato, quello del business a tutti i costi. Una sessantina di appartamenti che –a meno di qualche miracolo, al momento altamente improbabile - andranno a sorgere nell’area descritta, accresceranno in maniera abnorme il flusso automobilistico, lo smog e gli ingorghi già endemici in quella zona ed affosseranno l’illusorio programma della pedonalizzazione del viale Lilla e di via Roma. Con l’approvazione, se non addirittura la connivenza, degli amministratori comunali. Che quando sono di centro-destra pare vadano a nozze con progetti simili. Come dimostra appunto il caso della lottizzazione della”Cascinazza” a Monza. Qui il partito del mattone, ben rappresentato dal fratello- controfigura di Berlusconi, è sul punto di cementificare i 70 ettari dell’area denominata Cascinazza per costruirvi 60 palazzine. 400 mila metri cubi di cemento per gli alloggi di alcune migliaia di residenti. E chissenefrega dell’ambiente, del PAI, o piano di assetto idrogeologico della regione Lombardia, che ha censito quell’area come assolutamente inedificabile perché a rischio inondazioni, dell’opposizione quarantennale di tutti coloro che, giustamente, hanno bloccato la sciagurata lottizzazione, ultimi gli amministratori di centro-sinistra sloggiati dal Comune brianzolo alle ultime elezioni amministrative del maggio scorso. L’allora “palazzinaro” Berlusconi adocchiò già negli anni ’60 l’area in questione ed ora, con l’avallo di Formigoni e dell’assessore leghista alla regione che gli hanno confezionato su misura una leggina ad hoc, detta “berluschina”, l’ha avuta vinta. En passant, è stravagante l’atteggiamento della Lega Nord, ferocemente avversa al progetto quando era in lite con il Cavaliere e favorevolissima invece oggi. Ma forse non è il caso di sottolineare l’ennesima piroetta dei lumbard. Di tutta la vicenda si può leggere un’ampia e documentata sintesi su “la Repubblica” del 26 maggio scorso.
Per tornare alla nostra, parimenti triste e squallida, realtà, forse dobbiamo rassegnarci a veder soffocato per sempre uno degli ultimi spazi verdi di quella che una volta era definita una ridente cittadina del Salento.
Ridente. E come potrebbe ridere, oggi, una città accerchiata non si sa più da quante discariche, le proprie passate presenti e future, e quelle dei comuni limitrofi? Una città nella quale le opere pubbliche programmate ed avviate o non sono mai portate a compimento o, se ultimate, come la pavimentazione di via Roma, sono del tutto inagibili. Una città oppressa nelle sue potenzialità di crescita e di sviluppo da una classe dirigente, si fa per dire, miope e inadeguata per la gran parte, affarista ed interessata per l’altra. Una città al buio, come ebbe a dire alcuni mesi fa il giudice Clementina Forleo, metaforicamente schiacciata dall’orripilante gazebo di piazza Umberto I.
Cosimo d’Alema.
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